Marco Dotti presenta "Ricordare per dimenticare" di Vahram e Janine Altounian

 

Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 gennaio 2008, col titolo "Appunti dal

Grande Male degli Armeni" e il sommario "Il diario di Vahram Altounian

pubblicato da Donzelli con uno scritto della figlia Janine, nella traduzione

di Rossana Rossanda. Sottratto all'oblio per rendere comune 'la vergogna'

del padre, questo testo elementare funziona come una sorta di mappa

dell'esistenza, precisa nelle indicazioni geografiche e nei resoconti.

Integra il volume un commento di Manuela Fraire".

Marco Dotti e' saggista e redattore di Stampa Alternativa.

Vahram Altounian, nato a Bursa, in Turchia, nel 1915 viene deportato insieme

alla famiglia; dopo aver perso il padre, e' ospitato con la madre da un

arabo e riesce a sopravvivere; nel 1921 si rifugia in Francia, dove vivra'

fino alla sua morte.

Janine Altounian,  figlia di genitori armeni sopravvissuti al genocidio del

1915, prestigiosa intellettuale, studiosa di psicoanalisi e traduttrice, e'

responsabile della supervisione alla traduzione delle opere complete di

Sigmund Freud in francese.

Manuela Fraire, autorevole intellettuale, psicoanalista, una delle figure

piu' prestigiose del femminismo, e' autrice di numerosi saggi. Tra le opere

di Manuela Fraire: (a cura di), Lessico politico delle donne: teorie del

femminismo, Fondazione Elvira Badaracco, Franco Angeli, Milano 2002.

Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio

Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per

aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in

rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del

"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata

da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'

drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.

Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari

1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica

come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,

persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro

Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con

Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',

Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La

ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del

lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della

riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora

dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]

 

Il manoscritto e' scarno, composto da note di viaggio o di spesa stilate con

grafia irregolare, su trentaquattro pagine di un quaderno scolastico.

Redatto in una variante del turco parlata dagli armeni vissuti nell'Anatolia

centrale prima della fuga e dell'esilio subiti a partire dal 1915, il diario

titolato Tutto quello che ho patito dal 1915 al 1919 di Vahram Altounian

mantiene le caratteristiche della testimonianza orale con i suoi spazi

vuoti, i suoi margini di silenzio e la sua assoluta convinzione che

"l'indimenticabile", anche quando taciuto, esiste.

Al di la' del mero valore documentario, la struttura del racconto orale

sottintesa dal diario di Altounian sembra funzionale tanto alla

memorizzazione di eventi traumatici presso un pubblico composto idealmente

da sopravvissuti, che dunque non hanno necessita' di essere persuasi circa

la veridicita' dei fatti narrati, quanto alla costruzione di un ambito di

comunicazione basato unicamente su accenni alla comune violenza subita.

Lingua e struttura del testo - precisa Krikor Beledian, il linguista che per

primo ne curo' la traduzione su "Les Temps Modernes" - fanno d'altronde

pensare che a scriverlo sia stato un giovane appena alfabetizzato e comunque

ancora sprovvisto di qualsiasi strumento o malizia letteraria.

*

Uno sterminio pianificato

Quasi dovesse servire da mappa esistenziale, preciso com'e' nelle

indicazioni geografiche e nei resoconti, il diario di Vahram Altounian

costituisce un eccezionale documento su cio' che gli armeni definiscono il

"Grande Male". Con queste parole - "Metz Yeghern" - le comunita' armene

della diaspora nominano infatti la deportazione e il genocidio condotti

contro il loro popolo dal governo dei Giovani Turchi, andato al potere dopo

il crollo dell'Impero Ottomano. Uno sterminio pianificato e silenzioso che

non doveva lasciare testimoni e in qualche modo ambiva a portare a termine

l'opera di persecuzione gia' iniziata, sul finire del XIX secolo, dai

funzionari dell'Impero con la complicita' di bande di curdi. In un appunto

al testo che l'editore Donzelli presenta ora al lettore italiano con il

titolo Ricordare per dimenticare (pp. 96, euro 11,50) - accompagnandolo con

il commento della figlia di Vahram, Janine Altounian e una preziosa

riflessione di Manuela Fraire dedicata all'Oblio della madre - si ricorda

che fra i metodi impiegati dalle autorita' competenti per rendere

"invisibile" la deportazione c'era quello di ammassare i deportati su

convogli ferroviari tenuti a debita distanza da tutti i grossi centri

abitati, per evitare di essere visti e ricordati. La pratica, che ricorda

tristemente i "treni neri" nazisti, e' indicativa della volonta' di non

lasciare tracce di se', non inscriversi in alcuna memoria e negarsi persino

come genocidio. A questo scopo, le forze dell'ordine addette alla

deportazioni venivano reclutate fra irregolari, per lo piu' malviventi

comuni, e la morte quando non inflitta direttamente doveva essere "favorita

con mezzi segreti", ossia con marce da un punto all'altro dell'Anatolia,

marce estenuanti che miravano a sfiancare i profughi, presto falcidiati

dagli stenti, dal tifo e dalla dissenteria.

*

Dopo il terrore

Vahram Altounian scrisse il suo diario nel 1921, probabilmente in seguito

all'ondata emotiva seguita agli attentati che il quindici marzo e il sei

dicembre di quell'anno, a Berlino e a Roma, costarono la vita all'ex

ministro degli Interni turco Talat e al gran visir Said Halim; ma il

quaderno rimase per molti anni chiuso in un cassetto confinato fra i segreti

personali e di famiglia. Un documento da dimenticare, anche se mai

dimenticato fino in fondo. Nel 1981 un commando dell'organizzazione "Alala"

fece irruzione nel consolato turco di Parigi prendendo venticinque ostaggi,

e fu solo allora che Janine Altounian trovo' la forza per affrontare "la

vergogna per me costituita dal dare alle stampe il diario di deportazione di

mio padre". Senza la disperata determinazione di quel gesto terroristico

"che alcuni armeni vivi osavano scandalosamente ostentare - scrive ancora

Altounian nella sua premessa - avrei vissuto quella decisione come una

profanazione dei morti".

Nel suo scritto Terrore e oblio. La letteratura come mezzo per salvare la

figura del padre, tradotto da Rossana Rossanda, Janine Altounian affronta

quella "memoria bianca" e quell'oblio apparente che, nel passaggio delle

generazioni, pur nel silenzio ha permesso la trasmissione di una forma di

ricordo "inconscio della catastrofe". Invertendo la prospettiva ricorrente

che vede nell'oblio un atto mancato, Janine Altounian - psicoanalista e

traduttrice francese delle opere di Freud - si propone di interrogare

l'oblio del dramma armeno e quel senso di spavento e terrore che sorgono "a

posteriori" e sono ben identificati dal termine "apres-coup" come atto

perfettamente riuscito anche se, avverte l'autrice, "riuscito in extremis".

Non rimozione, quindi, ma oblio dove le memorie e i ricordi dei

sopravvissuti non rimandano a uno spostamento da "una data area

dell'inconscio a un'altra", ma "proprio al 'non luogo' del terrore, dal

quale il soggetto si assenta per sopravvivere".

*

Localizzare per rimuovere

Indice di questo atteggiamento e' lo stesso clima di clandestinita',

determinato forse dal sentimento di essere sopravvissuti a qualcosa di

indecente da cui preservare madri e figli, in cui nei loro racconti i

protagonisti confinano l'esperienza del genocidio. Per Altounian si tratta

quindi - ed e' questo uno dei temi affrontati anche da Manuela Fraire nel

suo interessante contributo al volume - di continuare il lavoro del padre,

proprio la' dove il padre si era fermato, per sottrarre la vergogna a uno

spazio privato e riconsegnarla al mondo. In un percorso che va dalle

riflessioni di Michel de Certeau sulla scrittura come rito capace di

"esorcizzare la morte iscrivendola nel discorso", fino alle considerazioni

sulla morte del padre raccolte nel Primo uomo da Albert Camus o sul suicidio

della madre descritto da Peter Handke in Infelicita' senza desideri, Janine

Altounian affronta quell'inestricabile paradosso secondo cui soltanto cio'

che "e' stato 'localizzato' da qualche parte nel mondo dei vivi puo' essere

rimosso". Un paradosso tuttora presente nelle vicende e nei traumi degli

armeni costretti a vivere in un mondo dove le coordinate della loro storia

non sembrano esistere e, di conseguenza, anche il genocidio del 1915 non

risulta "inscritto" in alcuno spazio della memoria occidentale. Localizzare

e scrivere - suggerisce Altounian - sono allora le necessarie premesse per

ricordare e, forse, persino per dimenticare.

 
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